Sono stata a vedere la mostra su Alexander Calder, artista a me del tutto sconosciuto, e mi sono innamorata: delle sue sculture giocose, ironiche, divertenti; del suo modo allegro, divertito e allo stesso tempo terribilmente serio di lavorare; delle sue forme che cercavano di riprodurre giocosamente i colori e i movimenti della natura. Mi sono fatta l'idea che fosse completamente assorbito e in sintonia con il suo lavoro e quello che creava, e lo invidio terribilmente per questo:
Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita(Confucio)
Tra i video che vengono proiettati nella mostra, uno mostra un bambino che si reca nell'atelier dello scultore, lo osserva mentre lavora a un pezzo di una scultura e gli chiede: "Cosa stai facendo"? "Mi diverto", risponde Calder. Non è grandioso?
Grazie a Marilde, per avermi fatto scoprire questo quadro di Raffaello, ma soprattutto per avere scritto un testo come La solitudine delle madri, che mi sta facendo riflettere tanto su argomenti che "mi bruciano dentro". Appena avrò metabolizzato tutto, dedicherò un post al libro (e alle riflessioni!)
Dedicata a K, il guidatore
(io sono quella investita...)
Ieri notte ho guidato un’auto
non sapendo guidare
non possedendo un’auto
Ho guidato e ho investito
persone che amavo
… ho traversato una città a 190.
Mi sono fermato a Hedgeville
e ho dormito di dietro sul sedile
… eccitato per la mia nuova vita.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Last night I drove a car
not knowing how to drive
not owning a car
I drove and knocked down
people I loved
...went 120 through one town.
I stopped at Hedgeville
and slept in the back seat
...excited about my new life. Gregory Corso
Il Natale porta indubbiamente con sè un aumento dello stress, soprattutto per noi donne che dobbiamo fronteggiare lavoro, figli, famiglia: c'è un "ingorgo" di impegni, di aspettative, di cose da fare... Da anni ormai vivo con ansia e preoccupazione l'arrivo di questo periodo, che ha il suo culmine nel 25 e nel 26 di Dicembre. Poi, superata questa data, o meglio, "sopravvissuta" anche all'ultimo cenone nella confusione della famiglia, mi godo la rilassatezza che subentra in me e attorno a me, una specie di "atmosfera magica" in cui il tempo, prima così frenetico, si distende e diventa quasi magico, perché lascia disponibilità per attività e riflessioni normalmente inusuali, per le quali non c'è mai tempo. Questi giorni li considero il mio vero regalo di Natale. In questa atmosfera magica questa volta mi sono imbattuta nella Storia della Bella di Caterina Comi, una bella fiaba "dedicata a noi mamme, ogni tanto ci vuole": come la Bella, dobbiamo ricordare più spesso che non siamo soltanto mamme, ma anche donne e persone. Buon Dopo-Natale a tutte le mamme!
Durga nella religione induista è una forma di Devi, la Madre Divina. È raffigurata come una donna che cavalca un leone, con numerose braccia mani che impugnano diversi tipi di armi e fanno dei mudra (gesti simbolici fatti con la mano). Questa forma della Dea è l'incarnazione dell'energia creativa femminile (Shakti). Di carattere ambivalente, ha in sé entrambi i poteri di creazione e distruzione (Wikipedia)
Accosto la fronte alla tua, si toccano,
dico: "E' una frontiera".
Fronte a fronte: frontiera,
mio scherzo desolato, ci sorridi.
Col naso ci riprovo, tocco il naso,
per una tenerezza da canile:
"E questa è una nasiera", dico
per risentire casomai
un secondo sorriso, che non c'è.
Poi tu metti la mano sulla mia
e io resto indietro di un respiro.
"E questa è una maniera", mi dici.
"Di lasciarsi?", ti chiedo. "Si, così".
Essere testimoni di se stessi
sempre in propria compagnia
mai lasciati soli in leggerezza
doversi ascoltare sempre
in ogni avvenimento fisico chimico
mentale, è questa la grande prova
l'espiazione, è questo il male.
Scopro oggi che dallo scorso settembre Silvia Ferreri ha aperto un blog sulle tematiche già affrontate nel suo documentario:
"Apre oggi il blog di Uno virgola due. E’ passato tempo dall’uscita del film, e dalla pubblicazione del libro che porta lo stesso titolo. Da allora ho fatto decine di presentazioni sia del film che del libro. Ho incontrato molte donne in questi viaggi per l’Italia (e per l’Europa) con le quali avrei voluto tenere contatti più stretti, ma non sempre è stato possibile. Molte donne che mi hanno raccontato, ascoltato, ringraziato. A loro e a tutte le persone che ho incrociato in questo viaggio è rivolto il blog di Unovirgoladue"
"La maternità determina una netta caduta di partecipazione: se prima della nascita del figlio lavorano 59 donne su 100, dopo tale evento ne continuano a lavorare solo 43. L’esigenza di cura è la motivazione principale dell’abbandono del lavoro (90% dei casi)".
Quindi, "si riconosce quindi la necessità di definire strategie di conciliazione tra vita e lavoro, ormai riconosciute come una determinante strutturale dei livelli di partecipazione al mercato del lavoro. Ma in questo quadro, al ruolo dell’offerta di servizi di supporto alle esigenze di cura familiare si dovrebbero affiancare anche interventi che incidano sui fattori di natura culturale".
Penso a quello che sta avvenendo nella mia azienda e mi chiedo quando dalla teoria si passerà alla pratica....
Per responsabilità sociale d'impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR) si intende l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.
[...]
« "responsabilità sociale delle imprese": integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. »
In questi giorni non ho avuto molta voglia di scrivere: in ufficio sono giorni frenetici e un po' tristi, i colleghi "esodati" cominciano ad uscire, lasciando a chi rimane più lavoro da fare e, spesso, un grande vuoto umano.
Intanto sul sito web aziendale troneggia un articolo dedicato alla nuova grande buona azione aziendale: in nome della responsabilità sociale di impresa la nostra Azienda (com'è buona com'è brava la nostra Azienda) ha sponsorizzato un ospedale pediatrico in un Paese del Terzo Mondo, contribuendo a rendere più sani e più felici tanti bambini lontani.
Non posso non pensare a quei fortunati bambini lontani mentre, fuori dall'Azienda, incontro A., uno dei colleghi incentivati all'esodo, per ritirare dei documenti che deve consegnare all'Ufficio del Personale. A. è un uomo semplice, di quasi sessant'anni, che ha lavorato per l'Azienda per più di venticinque anni. Ha un grande senso della giustizia, non ha mai tollerato soprusi e ingiustizie, né verso di lui né verso gli altri, e per questo ha spesso discusso con colleghi e superiori. Per questo ha fama di "duro e violento", ma io l'ho visto piangere diverse volte come un bambino: per la sua difficile situazione familiare, quando è stato seriamente ammalato e ha avuto paura di morire, infine quando mi è venuto a salutare, l'ultimo giorno di lavoro. Sì, piangeva anche l'ultimo giorno di lavoro, era triste perché per lui "venire qui, stare con i colleghi, era la sua vita". E io non riuscivo a capire e non capisco la ragione di questo attaccamento verso un'Azienda che ha cercato in tutti i modi di metterlo in difficoltà, che ha approfittato bassamente dei suoi momenti difficili per dargli addosso, che alla fine l'ha costretto in modo subdolo ad aderire all'accordo all'esodo, che poi ha cercato di risparmiare anche su quei quatto soldi di incentivo provocandolo per arrivare a un licenziamento per giusta causa, che infine l'ha voluto umiliare impedendogli di rimettere piede in azienda per consegnare i documenti richiesti dall'ufficio del personale.
Sì, fortunati quei bambini, che vivono tanto lontani da questa azienda....
ecco cos'è
è quando sei stesa al materasso ma è lui appoggiato a te
pendi dal soffitto e ti è incollato al dorso
è adesso è estate sei piccola sul cornicione
fai per sporgerti poi no
mi butto poi no
si vedono le mutande dalla gonna di sangallo e senti
come insetti in ascensore nel tuo collo dentro
mi lascio
quasi
no mi tengo dura
mi butto? un due due e mezzo
e alla fine resto su
e tutto quel che segue
Il vero amore non lascia tracce
Come la bruma non lascia sfregi
sul verde cupo della collina
così il mio corpo non lascia sfregi
su di te e non lo farà mai
oltre le finestre nel buio
i bambini vengono, i bambini vanno
come frecce senza bersaglio
come manette fatte di neve
il vero amore non lascia tracce
se tu e io siamo una cosa sola
si perde nei nostri abbracci
come stelle contro il sole
come una foglia cadente può restare
un momento nell'aria
così come la tua testa sul mio petto
così la mia mano sui tuoi capelli
e molte notti resistono
senza una luna, senza una stella
così resisteremo noi
quando uno dei due sarà via, lontano Leonard Cohen
Voglio segnalare quanto scrive oggi Chiara Saraceno su "La Repubblica" commentando la dichiarazione fatta da Berlusconi nei confronti di Rosy Bindi. Berlusconi a Porta a Porta ha risposto alle critiche mosse da Rosy Bindi, unica donna presente, definendola "più bella che intelligente". L'unica reazione a tale insulto è stata quella della stessa Bindi, che ha osservato che lei non appartiene alla categoria delle disponibili e utilizzabili. Silenzio anche dalle donne dei partiti di governo e dalle ministre, compresa la ministra delle Pari Opportunità: "Qualsiasi siano i motivi per cui è finita lì. cerchi di ricordarsi per favore che le pari opportunità non sono un concorso di bellezza. E che non si può lasciare a dei vecchi mandrilli, per quanto ricchi e potenti, il potere di parola e di giudizio su ciò che sono. sanno e possono fare e dire le donne, a prescindere dall'età e dai canoni estetici. Lasciare insultare una collega, anche dell'opposizione, con argomenti che nulla hanno a che fare con l apolitica, ma solo con il sessismo, è un errore grave, di cui paghiamo il prezzo tutte."
Apprendo ora da Passaggio notturno della morte della coraggiosa cantante argentina Mercedes Sosa. Pubblico anch'io lo stesso ricordo di Renato (grazie, Renato!)
Todo Cambia
Cambia lo superficial cambia también lo profundo cambia el modo de pensar cambia todo en este mundo
Cambia el clima con los años cambia el pastor su rebaño y así como todo cambia que yo cambie no es extraño
Cambia el mas fino brillante de mano en mano su brillo cambia el nido el pajarillo cambia el sentir un amante
Cambia el rumbo el caminante aunque esto le cause daño y así como todo cambia que yo cambie no extraño
Cambia todo cambia Cambia todo cambia Cambia todo cambia Cambia todo cambia
Cambia el sol en su carrera cuando la noche subsiste cambia la planta y se viste de verde en la primavera
Cambia el pelaje la fiera Cambia el cabello el anciano y así como todo cambia que yo cambie no es extraño
Pero no cambia mi amor por mas lejos que me encuentre ni el recuerdo ni el dolor de mi pueblo y de mi gente
Lo que cambió ayer tendrá que cambiar mañana así como cambio yo en esta tierra lejana
Cambia todo cambia Cambia todo cambia Cambia todo cambia Cambia todo cambia
Uffa! Sono quotidianamente circondata da gente che, qualsiasi cosa faccia, si prende esageratamente sul serio e rende tutto noioso, pesante, grigio.
Personalmente, invece, ho sempre apprezzato e praticato un atteggiamento ironico nei confronti della realtà e di me stessa: trovo che renda tutto più facile, più divertente, più entusiasmante, più colorato. E' una leggerezza che non banalizza, anzi dà spessore alla realtà, permette di scoprire lati inaspettati delle persone, delle cose, delle situazioni.
E allora oggi, quando ho scoperto un post di Maurizio Saruggia che analizzava l'ironia nella comunicazione, mi sono entusiasmata, e con altrettanto entusiasmo voglio citare le parti che più mi sono piaciute:
L’ironia è il risultato della somma di diversi fattori psicologici, tra i quali la capacità di star bene con se stessi e con gli altri ...
Se siamo ironici diamo la possibilità ai nostri interlocutori di di scoprire tutti gli aspetti di una determinata realtà e soprattutto quelli che non si vedono.
L’ironia è fantastica, apre la mente, mostra le facce della realtà che ci permettono di vedere la problematica in maniera globale, cosa necessaria per raggiungere l’illuminazione.
L’ironia usata come autoironia è magica perché diventa uno strumento di autoformazione umana e professionale molto importante, perché avvia verso l’autoriflessione e la lettura della parte più profonda di noi stessi.
Vi è poi un aspetto misterioso dell’ironia:
alla base del meccanismo ironico agisce una forma di dissociazione o distanziamento dall’evento.
Per meglio dire questo meccanismo ci permette di essere dentro all realtà , ma di restarne contemporaneamente lontani, come se la vedessimo proiettata in uno schermo cinematografico, dandoci così la possibilta di vedere le cose con distacco ma lucidità.
La partecipazione agli eventi ci permette di conservare un rapporto di empatia con l’evento , cioè la capacità di identificarci con esso; il distanziamento ci offre la possibilità di comprenderlo meglio, perché generato dalla visione pià ampia dei fatti.
Quindi in sostanza giocare con se stessi è quello che ci permette di fare l’ironia , nel termine più esteso di capacità creativa dell’adulto, si intende.
Giocare con se stessi vuole dire uscire dalla personale rigidità e sicumera, che a volte abbiamo nel nostro comportamento, che ci impedisce di vedere la complessiva realtà dei fatti e quindi ci toglie la capacità di trovare soluzioni ai problemi....
Usiamo l’ironia e l’autoironia ragazzi, perché ci libera dall’intolleranza e dall’ arroganza e ci dà modo di governare la realta anziché esserne governati.
Dalla donna che sono,
mi succede, a volte,
di osservare, nelle altre, la donna che potevo essere;
donne garbate, laboriose, buone mogli,
esempio di virtù,
come mia madre
avrebbe voluto.
Non so perchè
tutta la vita
ho trascorso a
ribellarmi a loro.
Odio le loro minacce
sul mio corpo
la colpa che le loro vite
impeccabili,
per strano maleficio
mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti di nascosto
del marito,
del pudore della sua nudità
sotto la stirata e inamidata biancheria intima.
Queste donne,
tuttavia, mi guardano
dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere "la brava bambina", essere la "donna decente",
la Gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato,
dagli amici,
dalla famiglia, dai figli
e da tutti gli esseri
che popolano abbondantemente
questo mondo.
In questa contraddizione inevitabile tra quel che doveva essere
e quel che è,
ho combattuto numerose
battaglie mortali,
battaglie a morsi, loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa -
con la psiche
dolorante,
scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me
che, fin dall'infanzia, mi guardano torvo
perchè non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni,
perchè oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile
che si innamora come una triste puttana
di cause giuste,
di uomini belli
e di parole giocose
Perchè, adulta, ho osato vivere l'infanzia proibita
e ho fatto l'amore sulle scrivanie nelle ore d'ufficio,
ho rotto vincoli inviolabili
e ho osato godere
del corpo sano e sinuoso
di cui i geni di tutti i miei avi mi hanno dotata.
Non incolpo nessuno. Anzi li ringrazio dei doni.
Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf:
ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino,
appena apro gli occhi,
sento le lacrime che premono,
nonostante la felicità che ho finalmente conquistato,
rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria,
vedo le altre donne che sono in me,
sedute nel vestibolo
che mi guardano con occhi dolenti e mi sento in colpa per la mia felicità.
Assurde brave bambine mi circondano e danzano musiche infantili
contro di me;
contro questa donna fatta, piena,
la donna dal seno sodo
e i fianchi larghi,
che, per mia madre e contro di lei, mi piace essere.
"... ma chi l'ha detto che e' proibito essere tristi? In realta', molte
volte, non c'e' nulla di piu' sensato che essere tristi; quotidianamente
succedono cose, agli altri o a noi, per cui non c'e' rimedio, o per meglio dire, per cui c'e' quell'unico e antico rimedio di sentirsi tristi.
Non lasciare che ti prescrivano allegria, come chi ordina un ciclo di antibiotici o dei cucchiai di acqua di mare a stomaco vuoto. Se lasci che trattino la tua tristezza come una perversione o, nel migliore dei casi, come una malattia, sei perduta; oltre ad essere triste ti sentirai in colpa. E non hai colpa di essere triste. Non e' normale sentire dolore quando ti tagli? Non ti brucia la pelle dopo una frustata? ... Vivi la tua tristezza, palpala, sfogliala nei tuoi occhi, bagnala di lacrime, avvolgila nelle grida o nel silenzio, copiala nei quaderni, segnala sul tuo corpo, fissala nei pori della tua pelle. Infatti, solo se non ti difendi fuggira', a momenti, in un altro posto che non e' il centro del tuo dolore intimo.
E per degustare la tua tristezza devo consigliarti anche un piatto malinconico: cavolfiore nella nebbia. Si tratta di cuocere quel fiore bianco e triste e consistente, col vapore acqueo. Lentamente, con lo stesso odore dell'alito che emana la bocca nei lamenti, si cuoce fino ad intenerirsi. E, avvolto nella nebbia, nel suo vapore fumante, aggiungigli olio di oliva e aglio e un po' di pepe, e salalo con lacrime che siano tue. E assaporalo lentamente, mordendolo con la forchetta, e piangi di piu' e piangi ancora, che alla fine quel fiore andra' succhiando la tua malinconia senza lasciarti asciutta, senza lasciarti tranquilla, senza rubarti l'unica cosa tua in quel momento, l'unica che nessuno potra' ormai toglierti, la tua tristezza, ma con la sensazione di aver condiviso con quel fiore immarcescibile, con quel fiore assurdo, preistorico, con quel fiore che i fidanzati non chiedono mai dai fiorai, con quel fiore del cavolo che nessuno mette nei vasi, con quell'anomalia, con quella tristezza fiorita, la tua tristezza di cavolfiore, di pianta triste e malinconica".
Hector Abad Faciolince - Trattato di culinaria per donne tristi, Sellerio 1997
La chiave gira nella toppa
simile a un apriscatole
e scoperchia la latta.
è l'amica che apre
e mi sorprende a letto
con un'altra donna.
guarda e sì ritrae
come in presenza
d'un cibo avariato.
piange e richiude
la porta metallica.
mi ripeto...
il mio cuore è sempre stato
come la porta girevole
d'un albergo a ore
dove si poteva entrare
e pernottare a piacere
ri_uscire in incognito
e senza rimpianti
ora vorresti istallare
una porta nel vuoto
e mettere una serratura di marca
all'aria ?
Periodo confuso e faticoso: di ritorno da vacanze abbastanza deludenti, sto affrontando con grande fatica la ripresa del lavoro e dei ritmi cittadini, insofferente del caldo afoso e disgustata dalle piccole bassezze quotidiane cui mi tocca assistere impotente.
Constatare che non sono l'unica a soffrire di questa situazione non mi consola affatto, anzi aumenta il mio malessere.
Ieri un collega ha avuto una crisi cardiocircolatoria da stress, è stato portato via in ambulanza. Oggi è toccato a un'altra collega.... Domani.... che succederà?
Mi arrovello inutilmente sul senso di tutto questo, mi perdo in un tunnel senza uscita...
E poi, in tutto questo buio che mi avvolge, per fortuna trovo la riflessione di Francesca Pacini su Anima e cozze, che ridà un po' di senso all'affanno quotidiano, mi invita a ritrovare l'quilibrio tra la freddezza della mente e l'irrazionalità delle reazioni emotive.
Dall'intervista di Lorella Zanardo sull'Unità di oggi:
«Lavoriamo, più di prima. In famiglia contiamo e decidiamo, più di prima. La famiglia stessa la “reggiamo” più di prima, più dei nostri uomini. Ed è – paradossalmente - questo nostro fare “privato” totale, senza pausa, che ci condanna al silenzio pubblico.
[...]
Il fatto è che siamo impotenti. È come se il prezzo che stiamo pagando per il nostro essere attive dal punto di vista del reddito e della responsabilità nelle nostre case sia il non avere voce. E da questo punto di vista il fattore tempo è decisivo. Siamo iperimpegnate, siamo quelle che in Europa lavorano di più ma che hanno la minor assistenza in fatto di asili, sostegno per gli anziani. Per non dire dello scarso aiuto dei propri compagni. E poi la politica...»
Un articolo del Corriere della Sera odierno riassume e analizza i dati emersi da una recente ricerca diretta da Robert Goodin («Discretionary Time», Oxford University Press) sulla sindrome della "Time Pressure", ovvero la costante pressione da mancanza di tempo da cui ci sentiamo tutti costantemente afflitti: "la sindrome della time pressure è in larga misura frutto di decisioni individuali, che ci spingono a fare molto di più di quanto non sarebbe strettamente necessario". Insomma, se le madri lavoratrici corrono e si affannano tutto il giorno, la colpa sarebbe solo della loro ambizione e cattiva gestione del tempo?
Eh no! Troppo semplice accollare alle donne anche questa responsabilità!
Infatti anche la stessa ricerca ammette che "Quando si hanno dei figli il tempo a disposizione si riduce drasticamente, dato che aumentano le ore indispensabili al loro accudimento. Stante la persistente asimmetria nella divisione del lavoro fra padri e madri, queste ultime sono poi sistematicamente svantaggiate, soprattutto se occupate. I dati segnalano che le madri sole e quelle divorziate sono le figure sociali di gran lunga più vincolate nell’uso del proprio tempo di vita".
E allora dov'è il "frutto della decisione individuale", quando poi sei costretta a farti carico da sola dell'accudimento e dell'educazione dei figli, per defomazione culturale e per mancanza di servizi sociali?
La donna separata è l'eroina dei nostri giorni. Ben più della single, su cui pesa comunque il sospetto infamante di non averlo trovato, un marito da cui separarsi. O di essere troppo ambiziosa per meritare una vera vita sentimentale. La donna separata invece è circondata da un alone di saggezza e di esperienza. E' un'iniziata, una sopravvissuta che reca in sé il germe di mutazioni profonde, degna di vivere nell'era nucleare. Conosce la coniugalità, spesso è madre, è dunque passata attraverso le prove che fanno di una donna una vera donna, senza essere per questo una donna morta. Marcia a testa alta verso la realizzazione di sé. E' libera di essere di nuovo amante dopo essere stata moglie.
Un amore felice. E' normale? e' serio? e' utile? Che se ne fa il mondo di due esseri che non vedono il mondo?
Innalzati l'uno verso l'altro senza alcun merito, i primi qualunque tra un milione, ma convinti che doveva andare cosi' - in premio di che? Di nulla; la luce giunge da nessun luogo - perche' proprio su questi, e non su altri? Cio' offende la giustizia? Si. Cio' offende i principi accumulati con cura? Butta giu' la morale dal piedistallo? Si', infrange e butta giu'.
Guardate i due felici: se almeno dissimulassero un po', si fingessero depressi, confortando cosi' gli amici! Sentite come ridono - e' un insulto. In che lingua parlano - comprensibile all'apparenza. E tutte quelle loro cerimonie, smancerie, quei bizzarri doveri reciproci che s'inventano - sembra un complotto contro l'umanita'!
E' difficile immaginare dove si finirebbe se il loro esempio fosse imitabile. Su cosa potrebbero contare religioni, poesie, di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe, chi vorrebbe restare piu' nel cerchio?
Un amore felice. Ma e' necessario? Il tatto e la ragione impongono di tacerne come d'uno scandalo nelle alte sfere della Vita. Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto. Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra, capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l'amore felice dica pure che in nessun luogo esiste l'amore felice.
Con tale fede gli sara' piu' lieve vivere e morire.
Amore a prima vista
Sono entrambi convinti che un sentimento improvviso li unì. E' bella una tale certezza ma l'incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono che non sia mai successo nulla fra loro. Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro se non ricordano - una volta un faccia a faccia forse in una porta girevole? uno "scusi" nella ressa? un "ha sbagliato numero" nella cornetta? - ma conosco la risposta. No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere che già da parecchio il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto a mutarsi per loro in destino, li avvicinava, li allontanava, gli tagliava la strada e soffocando un risolino si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali, che importa se indecifrabili. Forse tre anni fa o il martedì scorso una fogliolina volò via da una spalla all'altra? Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto. Chissà, era forse la palla tra i cespugli dell'infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli in cui anzitempo un tocco si posava sopra un tocco. Valigie accostate nel deposito bagagli. Una notte, forse, lo stesso sogno, subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti è solo un seguito e il libro degli eventi è sempre aperto a metà.
Ci sono tre modi per cominciare: 1) ”L'azienda...”, 2) “Lei ha dato molto all'azienda...” e 3) ”La realtà...”
- La realtà che stiamo vivendo, in azienda come nell'ambiente economico e sociale, è alla base di questo colloquio. Lei a bene che la nostra, come le altre organizzazioni aziendali, sono dentro processi profondi di ristrutturazione. Oggi tutte le aziende sono dentro un ambiente ad altissima competizione; occorre incessantemente fare meglio degli altri, occorre cioè sviluppare incessantemente i ricavi e ridurre incessantemente i costi. Occorre cioè divaricare al massimo la forbice fra i costi e i ricavi: e per fare questo ci vogliono investimenti, tecnologia, ridisegno dell'organizzazione e dei processi, nuova efficienza. Ora, la differenza fondamentale tra oggi e il passato è che una volta alle ristrutturazioni seguivano momenti di espansione, all'espansione seguiva lo sviluppo. Oggi non è più così: l'evoluzione dei sistemi economici non è più un susseguirsi di crisi e splendore, ma un cambiamento continuo e imprevedibile in cui crisi e splendore, espansione e contrazione, sviluppo e recessione convivono in armonia. Perfino i manager di alto livello dicono: passerà ance questa notte, e arriverà la luce di un nuovo giorno. Questo non è vero, è solo la proiezione delle loro paure. La verità è questa: non vi è più alternanza di giorno e notte, ma solo un grande spazio condiviso, il sistema economico mondiale, fatto di spazi in parte alla luce in parte al buio e in parte in penombra, in continua cangiante luminosità.
Le sue spalle si sono incurvate in avanti, e sono ancora più piccole. La schiena si è come accorciata. Un essere minuto rattrappito dal gelo dell'orrore.
- Uno dei costi da ridurre è il personale. Troppe persone. E qui è il punto: la questione non è quella di liberarsi dei lavativi, dei politicizzati o delle persone che lavorano sodo ma non hanno una gran testa: queste sono cazzate. Abbiamo raggiunto accordi di incentivazione all'uscita con persone di altissimo valore, questo perché l'esigenza di ridurre le persone, pur nella sua traumaticità, è tuttavia equa e non guarda in faccia a nessuno, non ci sono favori o privilegi. Dove ci sono persone pensionabili, dove certi lavori possono essere fatti all'esterno, si aprono delle possibilità di ridurre i costi: e lì possono esserci persone di grande o di nullo valore, non è questo il punto.
L'attesa lo scava tutto dentro. C'è un involucro dalle sembianze umane seduto di fronte a me. L'involucro può lacerarsi sulla scrivania.
Il sindacato
- Dottore, posso? - Finzi, si accomodi.
Il delegato sindacale. Indossa una giacca marrone a quadri, una camicia verde chiaro di tela, i capelli sono rossicci, gli occhiali hanno una montatura rettangolare di plastica.
- Come va? - Bene e lei? - Bene. - Dottore, sono qui per avere alcuni chiarimenti sulla situazione delle dimissioni incentivate. - Mi dica.
- Mi sembra che le cose siano cambiate rispetto all'anno scorso, e in peggio. Lei sa che come organizzazione non abbiamo nulla in contrario alla formula delle dimissioni incentivate, a patto che avvengano su base consensuale e con soddisfazione del lavoratore incentivato. Questo consente all'azienda di alleggerire la base dei costi con azioni a bassa spesa sociale che si traducono, non di rado, anche in nuove opportunità per il lavoratore incentivato..
Accompagna le parole con ampi gesti delle mani. - Ma quest'anno le cose sono cambiate: voi avete evitato di darci dei dati e ci avete ingannato sostenendo che avreste incentivato più o e no lo stesso numero di persone dell'anno scorso, ma questo è falso. State incentivando una persona su tre qui in sede, che è una percentuale peggio della cassa integrazione. E non vi siete limitati alle persone vicino alla pensione, ma avete fatto azioni contro dipendenti di trent'anni, segretarie, in un clima di pressione e intimidazione.
Io scientificamente mi domando come è stato creato il mio cervello cosa ci faccio io con questo sbaglio. Fingo di avere anima e pensieri per circolare meglio in mezzo gli altri, qualche volta mi sembra anche di amare facce e parole di persone, rare; esser toccata vorrei poter toccare, ma scopro sempre che ogni mia emozione dipende da un vicino temporale.
io non posso più io non faccio io non comando io non decido io non gestisco io non ho più tempo e tantomeno amo.
Un diamante è per sempre
Il primo è sempre un bacio sulle labbra venuto benissimo. Quello dopo, sembra addirittura meglio e poi le mani che non scollano più i visi. Intanto, non diciamocelo nemmeno che lo sai e che lo so ci saranno certo cose rotte a metà le foto come i figli. E parleremo malissimo di noi sputandoci addosso il paradiso che ci aveva ubriacati. Eppure, adesso, mi riempi il bicchiere e me lo dici con i fiori quasi quasi ci credo che mai, che mai mi lascerai. E che io mai, che mai ti lascerò.
- Dottore, la prego, non mi mandi via. La donna mormora parole, trascinata verso il basso dall'imbarazzo, la vergogna. Gli occhi vagolano sulla superficie della scrivania, e, quando si levano, si arrestano acquosi e imploranti sui miei. Ha la pelle diafana,un tailleur in colori tenui pastello. Cinquantacinque anni. - Signora, temo di non essere stato efficace- dico con tono cortese sforzando un mezzo sorriso. Mi rizzo sulla schiena, imposto la voce. - Nessuno vuole mandarla via, signora. La società ha una grande stima di lei. La questione è un'altra: dobbiamo privarci del contributo di pur validissimi collaboratori, perché dobbiamo ridurre il numero dei dipendenti: è in gioco la sopravvivenza stessa della società. Ora, nel dover mettere in pratica una scelta certamente dolorosa come questa, il criterio più razionale da adottare è quello di rivolgersi ai dipendenti, pur validissimi, ai quali manca un anno dall'età pensionabile. - Ma io ho due figlie che vanno all'università, guadagno due milioni al mese, l'affitto della casa è di ottocentomila lire, sono vedova, non ho latre entrate o proprietà, come faccio a vivere con la pensione? Ha alzato il viso, la voce e la paura. Il mio respiro è più veloce. - Signora, capisco la sua situazione. Ma analizziamo freddamente la cosa: se lei va in pensione, ci va più o meno con un milione e mezzo al mese, ai quali deve aggiungere la liquidazione, che nel suo caso è una somma interessante, sono cinquanta milioni, ai quali ancora si somma la buonuscita. Se poi aggiunge che oggi prende due milioni al mese per dieci ore di lavoro, e invece, da pensionata, lei prende un milione e mezzo al mese per zero ore di lavoro, a questo punto si rende conto che, superato il comprensibile momentaneo disagio emotivo, lei si trova da pensionata in una situazione migliore dell'attuale: può decidere di godersi in pace la sua pensione e di stare con le sue figlie, oppure può decidere di lavorare, part time o tutto il giorno, e guadagnare più di prima, aggiungere ai soldi della pensioneun altro milione per il suo nuovo lavoro.
2. - Vede, signor Brambilla, forse sono stato poco chiaro. Siamo al 20 di ottobre, e lei compie trentacinque anni di contribuzione il 30 gennaio dell'anno prossimo. Dunque, le mancano tre mesi e dieci giorni alla pensione. Io le dico: le diamo una buonuscita, lei si dimette entro il 31 dicembre, e siamo a posto. Lei mi risponde: accetto la proposta, ma voglio aspettare il 31 gennaio, perché mi sento più sicuro. io le rispondo: non possiamo aspettare il 31 gennaio, ma occorre fare la cosa entro il 31 dicembre, perché l'azienda deve fare la riduzione dell'organico entro il 31 dicembre. E lei mi dice: io mi sento sicuro al 31 gennaio. E io lechiedo: sicuro di che? - Dottore, mi sento più sicuro a farlo il 31 gennaio, quando compio trentacinque anni di contribuzione. - Perché? - Perché non si può mai sapere, col governo: se cambiano la legge sulle pensioni, in pensione non ci vado più, e allora voglio essere sicuro, e aspettare gennaio. Non posso mica buttare una vita di lavoro così, dottore, si tratta solo di aspettare finoa gennaio. La voce tremola. Parla a scatti. La faccia si è colorita di rosso. Indossa una giacca a quadri di buona fattura, un gilet giallo, e una cravatta blu con disegbini ocra. Gli abiti sono lindi e stirati, veste al di sopra dei suoi mezzi intellettuali. Mi fa solo incazzare.
- E ora ti dò una buona notizia: la MTI non mette in mobilità o cassa integrazione, perché mancano i presupposti previsti dalla legge. E la MTI non è Auschwitz, non mette le persone in corridoio. Al contrario, chi rifiuta la proposta torna felice dai colleghi, e magari sghignazza di quel pirla di Pressi. Per queste ragioni comprenderai subito una cosa: sei tu che sei finito ad Auschwitz. Perché se quelli non accettano, tornano felici al posto di lavoro, e tu sei fottuto, perché non hai fatto il target. Sarai solo come un cane, Marco. Dovrai farti un culo nero per avere il sostegno dei capi, perché quelli hanno relazioni personali con le vittimeoppure si cacano sotto di fare i cattivi oppure ti sabotano alle spalle perché non condividono la politica aziendale. Sarai solo di fronte alla persona, con una coppia di sette e dovrai fare finta di avere un poker servito. Perché questo è Marco: un bluff, una partita a poker, un miscuglio di blandizie e minacce. Una lotta tutta psicologica, dove il forte è debole, e il debole non sa di essere forte. E se non seghi, sei tu il segato: non perché non prendi i venti milioni , la macchina e il cellulare, ma perché, cosa peggiore, diranno che non hai le palle, e che non sai gestire situazioni difficili. La tua carriera sarà finita. E alla fine sarai tu a lasciare l'azienda, non loro.
Agosto, mese per eccellenza delle vacanze degli italiani.
Per riposarsi dallo stress accumulato durante l'anno lavorativo, tutti in partenza (o in fuga?) per vivere un periodo più o meno lungo di spensieratezza, leggerezza, divertimento, follia.
Accantonando, talvolta, i sani principi di rispetto dell'ambiente e delle persone secondo i quali magari ci si sforza di vivere durante tutto l'anno. Perché? Perché in vacanza si vuole essere spensierati, perché ci si deve adattare all'offerta del mercato, perché perché perché....
E allora leggiamo un interessante articolo di Annalisa Melis sulle vacanze e il turismo di massa: spesso i viaggi che facciamo, oltre a essere antiecologici, ci portano a fare esperienze finte e superficiali in posti che sembrano circhi. Privilegiamo, allora, un turismo responsabile, "attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture" (dalla definizione adottata dall'assemblea di AITR in data 9 ottobre 2005 a Cervia).
La storia della contabile della BeM, l'azienda citata nel post precedente, nel racconto dell'ad Brunella Agnelli:
"Fecero colloqui per valutare le propensioni dei dipendenti. Dopo abbiamo cambiato le mansioni di molti, in base ai loro desideri. Una contabile, ad esempio, si disse molto portata per la comunicazione. Era il suo sogno. L’abbiamo accontentata: grazie a lei sono nate le reti internet ed extranet, per rendere partecipi i dipendenti della vita aziendale. Anche la comunicazione esterna dà i primi frutti, con la fidelizzazione dei clienti. È la motivazione la chiave del successo: porta alla flessibilità mentale, cioè all’essere propositivi e disponibili persino a lavorare di più, se serve"
La mia storia all'interno dell'azienda nella quale lavoro da circa vent'anni (mia ma anche di tanti altri...): Sono stata assunta per una posizione che richiedeva la conoscenza più che buona di almeno due lingue straniere (la mia materia!) e, marginalmente, discrete capacità contabili. Nel corso degli anni mi hanno spostato a mansioni che progressivamente richiedevano meno conoscenze linguistiche e maggiori conoscenze contabili, finché, da circa quattro anni, faccio un lavoro quasi esclusivamente di contabilità. Ogni volta che mi veniva comunicato il cambiamento di lavoro ho cercato di oppormi facendo valere la mia formazione e la mia esperienza linguistica: tutto inutile, cambiava il responsabile di turno ma il discorsetto era sempre lo stesso: l'Azienda puntava a valorizzare il lato nascosto della mia professionalità, non dovevo sottovalutare le mie straordinarie capacità contabili, il nuovo lavoro richiedeva alta professionalità e tutte le doti che avevo dimostrato di avere, bla bla bla bla (all'ipocrisia aziendale dedicherò un post apposito, prima o poi...). Inutile dire che ogni cambiamento diminuiva un po' di più la mia motivazione, oltre all'effettivo rendimento sul lavoro (NON sono una contabile, né ho mai fatto alcun tipo di formazione di contabilità!) La ciliegina sulla torta: ad un certo punto di questo percorso mi trovo collocata in un team composto, oltre che da me, da un capo e da una collega con i quali, dopo un breve periodo di difficoltà, scatta un'intesa lavorativa perfetta: insieme lavoriamo tanto e ci divertiamo pure! Dopo un anno abbiamo fatto un eccellente risultato, sia quantitativo che qualitativo. Se ne accorge anche il responsabile del settore, che ci chiama, ci fa i complimenti e.... dopo circa tre mesi scioglie il gruppo di lavoro e ci sparpaglia negli altri settori.
In questi tempi bui per le donne lavoratrici ho trovato una piccola ma significativa luce: la best practice della BeM, piccola azienda di Abbiategrasso, guidata da una donna illuminata, Brunella Agnelli, che ha riorganizzato la struttura aziendale cercando di favorire la conciliazione lavoro-famiglia delle proprie dipendenti. Non solo, ha anche cercato di favorire le loro inclinazioni e i loro desideri sul lavoro, come racconta Manuela Marzola nel suo post.
Premio Famiglia Lavoro - Categoria: MIGLIORE INIZIATIVA DI FLESSIBILITA' - Azienda vincitrice: BeM Service Center - Titolo progetto: Madri laboriose d'eccellenza
Pretty women wonder where my secret lies I'm not cute or built to suit a model's fashion size But when I start to tell them They think I'm telling lies. I say It's in the reach of my arms The span of my hips The stride of my steps The curl of my lips. I'm a woman Phenomenally Phenomenal woman That's me.
I walk into a room Just as cool as you please And to a man The fellows stand or Fall down on their knees Then they swarm around me A hive of honey bees. I say It's the fire in my eyes And the flash of my teeth The swing of my waist And the joy in my feet. I'm a woman Phenomenally Phenomenal woman That's me.
Men themselves have wondered What they see in me They try so much But they can't touch My inner mystery. When I try to show them They say they still can't see. I say It's in the arch of my back The sun of my smile The ride of my breasts The grace of my style. I'm a woman Phenomenally Phenomenal woman That's me.
Now you understand Just why my head's not bowed I don't shout or jump about Or have to talk real loud When you see me passing It ought to make you proud. I say It's in the click of my heels The bend of my hair The palm of my hand The need for my care. 'Cause I'm a woman Phenomenally Phenomenal woman That's me. Purtroppo non ho trovato la traduzione in italiano.
Scrivo questo post di getto, per esprimere la mia ammirazione per due donne coraggiose che nel loro blog raccontano la realtà del terremoto, in contrasto con le troppe immagini demagogiche e propagandistiche cui siamo abituati.
E scrivo per sfogare la mia indignazione dopo avere letto il resoconto di Marta da L'Aquila: che vergogna! Le macerie abruzzesi sono la rappresentazione concreta e terribile dello stato in cui versa l'Italia e la maggior parte delle sue istituzioni...
Ancora una riflessione sul corpo delle donne e non solo. In un bel video di Maria Grazia Tundo il contrasto tra le grottesche deformazioni dei volti noti sottoposti alla chiururgia estetica e la piacevole e addirittura piacente naturalezza degli altri che hanno accettato i segni del tempo
Ogni tanto seguo il blog Nonsolomamma, in cui una gironalista racconta con grande ironia e senso dell'umorismo le sue peripezie di donna-madre-moglie-lavoratrice intenta a far convivere i suoi molti ruoli e i loro inevitabili conflitti. Nonsolomamma è anche diventato un libro.
Lo trovo una lettura piacevole e divertente.
Mi sono però spesso chiesta se ridere delle peripezie di Elastigirl non sia un modo facile di banalizzare la situazione femminile e evitare di riflettere seriamente sul problema che c'è dietro alle mille contorsioni delle donne italiane: rigida divisione dei ruoli, carenza di strutture sociali di supporto, tempi di lavoro poco flessibili, scarsa sensibilità e attenzione alla conciliazione:
"Di elasti-mamme ce ne sono milioni. È l'ambiente, a volte ostile, che le crea. Per essere una mamma elastica bisogna avere compagni latitanti, lavori e figli impegnativi, ménage sgangherati, casa sempre in disordine, capelli a carciofo, stanchezza cronica e nemmeno un minuto per mettersi la crema idratante." (dall'intervista a Claudia de Lillo su Infinitestorie.it)
Cosa si può fare, cosa si sta facendo per migliorare lo stato delle cose?
Panzallaria ha aperto un blog per raccogliere "adesioni contro lo sdoganamento della mignottocrazia".
Forse serve, forse no, io ho aderito.
Perché mi riconosco nella descrizione:
"Siamo persone che non accettano più in silenzio quello che sta succedendo nel nostro Paese nei confronti delle donne: siamo contro lo sdoganamento del ruolo “merceologico” della donna e crediamo che debba cambiare l’approccio culturale degli uomini e delle donne.
Esistono modelli diversi da quelli che vengono promossi e patrocinati oggi in Italia. Di donne ma anche di uomini.
E vogliamo far sentire la voce dei tanti che si sentono sviliti dal velinismo, il tetteculismo e l’etica del “prodotto finale”. Uomini e donne."
Writing poems about writing poems is like rolling bales of hay in Texas. Nothing but the horizon to stop you.
But consider the railroad's edge of metal trash; bird perches, miles of telephone wires. What is so innocent as grazing cattle? If you think about it, it turns into words.
Trash is so cheerful; flying up like grasshoppers in front of the reaper. The dust devil whirls it aloft; bronze candy wrappers, squares of clear plastic--windows on a house of air.
Below the weedy edge in last year's mat, red and silver beer cans. In bits blown equally everywhere, the gaiety of flying paper and the black high flung patterns of flocking birds.
La scrittrice di successo Elizabeth Gilbert riflette in modo personale, divertente e stimolante sul rapporto tra l'artista e il genio creativo e sulle difficoltà di conciliare i due elementi.
Difendere l’allegria come una trincea difenderla dallo scandalo e dalla routine dalla miseria e dai miserabili dalle assenze transitorie e da quelle definitive
difendere l’allegria come un principio difenderla dallo stupore e dagli incubi dai neutrali e dai neutroni dalle dolci infamie e dalle gravi diagnosi
difendere l’allegria come una bandiera difenderla dal fulmine e dalla malinconia dagli ingenui e dalle canaglie dalla retorica e dagli arresti cardiaci dalle endemie e dalle accademie
difendere l’allegria come un destino difenderla dal fuoco e dai pompieri dai suicidi e dagli omicidi dalle vacanze e dalle oppressioni dall’obbligo di essere allegri
difendere l’allegria come una certezza difenderla dall’ossido e dal sudiciume dalla famosa patina del tempo dalla trascuratezza e dall’opportunismo dai ruffiani della risata
difendere l’allegria come un diritto difenderla da Dio e dall’inverno dalle maiuscole e dalla morte dai cognomi e dalle compassioni dal caso e anche dall’allegria
...allora, dopo una settimana d'inferno, scelgo di andare dappertutto, virtualmente ma provocatoriamente.
Anne Sexton, The Ballad Of The Lonely Masturbator
The end of the affair is always death. She's my workshop. Slippery eye, out of the tribe of myself my breath finds you gone. I horrify those who stand by. I am fed. At night, alone, I marry the bed. Finger to finger, now she's mine. She's not too far. She's my encounter. I beat her like a bell. I recline in the bower where you used to mount her. You borrowed me on the flowered spread. At night, alone, I marry the bed. Take for instance this night, my love, that every single couple puts together with a joint overturning, beneath, above, the abundant two on sponge and feather, kneeling and pushing, head to head. At night, alone, I marry the bed. I break out of my body this way, an annoying miracle. Could I put the dream market on display? I am spread out. I crucify. My little plum is what you said. At night, alone, I marry the bed. Then my black-eyed rival came. The lady of water, rising on the beach, a piano at her fingertips, shame on her lips and a flute's speech. And I was the knock-kneed broom instead. At night, alone, I marry the bed. She took you the way a women takes a bargain dress off the rack and I broke the way a stone breaks. I give back your books and fishing tack. Today's paper says that you are wed. At night, alone, I marry the bed. The boys and girls are one tonight. They unbutton blouses. They unzip flies. They take off shoes. They turn off the light. The glimmering creatures are full of lies. They are eating each other. They are overfed. At night, alone, I marry the bed.
----------- La ballata della masturbatrice solitaria
La fine della tresca è sempre morte. Lei è la mia bottega. Viscido occhio, sfuggito alla tribù di me stessa l'ansimo non ti ritrova. Fo orrore a chi mi sta a guardare. Che banchetto! Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Dito dopo dito, eccola, è mia. E lei il mio rendez-vu. Non è lontana. La batacchio come una campana. Mi chino Nel boudoir dove eri solito montarla. M'hai preso a nolo sul fiorito copriletto. Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Metti ad esempio, stanotte, amor mio, che ogni coppia s'accoppia rivoltolandosi, di sopra, di sotto, in ginocchio s'affronta spingendo su spugna e piume l'abbondante duetto. Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Così evado dal corpo, un miracolo irritante. Come posso mettere in mostra il mercato dei sogni? Son sparpagliata. Mi crocefiggo. Mia piccola prugna è quel che m'hai detto. Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Poi venne lei, la rivale occhi neri. Signora dell'acqua si staglia sulla spiaggia, con un pianoforte in punta di dita, parole flautate e pudore su labbra. Mentre io, gambe a X, sembro lo scopetto. Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Lei ti prese come una donna prende Un vestito a saldo dall'attaccapanni, e io mi spezzai come si spezza un sasso. Ti rendo i libri e la roba da pesca. Ti sei sposato, il giornale l'ha detto. Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Ragazzi e ragazze son tutt'uno stanotte. Sbottonan camicette, calano cerniere, si levan le scarpe, spengono la luce. Le creature raggianti sono piene di bugie. Si mangiano a vicenda. Che gran banchetto! Di notte, da sola, mi sposo col letto.
Donna affannata e divisa tra i pervasivi doveri di madre e i frustranti e opprimenti impegni di lavoratrice in una multinazionale in crisi. Cercando di essere anche solo una donna, ogni tanto.
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