mercoledì 30 settembre 2009

W l'ironia

Uffa! Sono quotidianamente circondata da gente che, qualsiasi cosa faccia, si prende esageratamente sul serio e rende tutto noioso, pesante, grigio.

Personalmente, invece, ho sempre apprezzato e praticato un atteggiamento ironico nei confronti della realtà e di me stessa: trovo che renda tutto più facile, più divertente, più entusiasmante, più colorato. E' una leggerezza che non banalizza, anzi dà spessore alla realtà, permette di scoprire lati inaspettati delle persone, delle cose, delle situazioni.

E allora oggi, quando ho scoperto un post di Maurizio Saruggia che analizzava l'ironia nella comunicazione, mi sono entusiasmata, e con altrettanto entusiasmo voglio citare le parti che più mi sono piaciute:


L’ironia è il risultato della somma di diversi fattori psicologici, tra i quali la capacità di star bene con se stessi e con gli altri ...

Se siamo ironici diamo la possibilità ai nostri interlocutori di di scoprire tutti gli aspetti di una determinata realtà e soprattutto quelli che non si vedono.

L’ironia è fantastica, apre la mente, mostra le facce della realtà che ci permettono di vedere la problematica in maniera globale, cosa necessaria per raggiungere l’illuminazione.

L’ironia usata come autoironia è magica perché diventa uno strumento di autoformazione umana e professionale molto importante, perché avvia verso l’autoriflessione e la lettura della parte più profonda di noi stessi.

Vi è poi un aspetto misterioso dell’ironia:

alla base del meccanismo ironico agisce una forma di dissociazione o distanziamento dall’evento.

Per meglio dire questo meccanismo ci permette di essere dentro all realtà , ma di restarne contemporaneamente lontani, come se la vedessimo proiettata in uno schermo cinematografico, dandoci così la possibilta di vedere le cose con distacco ma lucidità.

La partecipazione agli eventi ci permette di conservare un rapporto di empatia con l’evento , cioè la capacità di identificarci con esso; il distanziamento ci offre la possibilità di comprenderlo meglio, perché generato dalla visione pià ampia dei fatti.

Quindi in sostanza giocare con se stessi è quello che ci permette di fare l’ironia , nel termine più esteso di capacità creativa dell’adulto, si intende.

Giocare con se stessi vuole dire uscire dalla personale rigidità e sicumera, che a volte abbiamo nel nostro comportamento, che ci impedisce di vedere la complessiva realtà dei fatti e quindi ci toglie la capacità di trovare soluzioni ai problemi....

Usiamo l’ironia e l’autoironia ragazzi, perché ci libera dall’intolleranza e dall’ arroganza e ci dà modo di governare la realta anziché esserne governati.

Tanta ironia a tutti!

martedì 29 settembre 2009

Non mi pento di niente



Dalla donna che sono,
mi succede, a volte,
di osservare, nelle altre, la donna che potevo essere;
donne garbate, laboriose, buone mogli,
esempio di virtù,
come mia madre
avrebbe voluto.
Non so perchè
tutta la vita
ho trascorso a
ribellarmi a loro.
Odio le loro minacce
sul mio corpo
la colpa che le loro vite
impeccabili,
per strano maleficio
mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti di nascosto
del marito,
del pudore della sua nudità
sotto la stirata e inamidata biancheria intima.
Queste donne,
tuttavia, mi guardano
dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere "la brava bambina", essere la "donna decente",
la Gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato,
dagli amici,
dalla famiglia, dai figli
e da tutti gli esseri
che popolano abbondantemente
questo mondo.
In questa contraddizione inevitabile tra quel che doveva essere
e quel che è,
ho combattuto numerose
battaglie mortali,
battaglie a morsi, loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa -
con la psiche
dolorante,
scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me
che, fin dall'infanzia, mi guardano torvo
perchè non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni,
perchè oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile
che si innamora come una triste puttana
di cause giuste,
di uomini belli
e di parole giocose
Perchè, adulta, ho osato vivere l'infanzia proibita
e ho fatto l'amore sulle scrivanie nelle ore d'ufficio,
ho rotto vincoli inviolabili
e ho osato godere
del corpo sano e sinuoso
di cui i geni di tutti i miei avi mi hanno dotata.
Non incolpo nessuno. Anzi li ringrazio dei doni.
Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf:
ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino,
appena apro gli occhi,
sento le lacrime che premono,
nonostante la felicità che ho finalmente conquistato,
rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria,
vedo le altre donne che sono in me,
sedute nel vestibolo
che mi guardano con occhi dolenti e mi sento in colpa per la mia felicità.
Assurde brave bambine mi circondano e danzano musiche infantili
contro di me;
contro questa donna fatta, piena,
la donna dal seno sodo
e i fianchi larghi,
che, per mia madre e contro di lei, mi piace essere.

Gioconda Belli

domenica 13 settembre 2009

E allora vai col cavolfiore!

"... ma chi l'ha detto che e' proibito essere tristi? In realta', molte
volte, non c'e' nulla di piu' sensato che essere tristi; quotidianamente
succedono cose, agli altri o a noi, per cui non c'e' rimedio, o per meglio
dire, per cui c'e' quell'unico e antico rimedio di sentirsi tristi.

Non lasciare che ti prescrivano allegria, come chi ordina un ciclo di
antibiotici o dei cucchiai di acqua di mare a stomaco vuoto. Se lasci che
trattino la tua tristezza come una perversione o, nel migliore dei casi,
come una malattia, sei perduta; oltre ad essere triste ti sentirai in colpa.
E non hai colpa di essere triste. Non e' normale sentire dolore quando ti
tagli? Non ti brucia la pelle dopo una frustata? ... Vivi la tua tristezza,
palpala, sfogliala nei tuoi occhi, bagnala di lacrime, avvolgila nelle grida
o nel silenzio, copiala nei quaderni, segnala sul tuo corpo, fissala nei
pori della tua pelle. Infatti, solo se non ti difendi fuggira', a momenti,
in un altro posto che non e' il centro del tuo dolore intimo.

E per degustare la tua tristezza devo consigliarti anche un piatto
malinconico: cavolfiore nella nebbia. Si tratta di cuocere quel fiore bianco
e triste e consistente, col vapore acqueo. Lentamente, con lo stesso odore
dell'alito che emana la bocca nei lamenti, si cuoce fino ad intenerirsi. E,
avvolto nella nebbia, nel suo vapore fumante, aggiungigli olio di oliva e
aglio e un po' di pepe, e salalo con lacrime che siano tue. E assaporalo
lentamente, mordendolo con la forchetta, e piangi di piu' e piangi ancora,
che alla fine quel fiore andra' succhiando la tua malinconia senza lasciarti
asciutta, senza lasciarti tranquilla, senza rubarti l'unica cosa tua in quel
momento, l'unica che nessuno potra' ormai toglierti, la tua tristezza, ma
con la sensazione di aver condiviso con quel fiore immarcescibile, con quel
fiore assurdo, preistorico, con quel fiore che i fidanzati non chiedono mai
dai fiorai, con quel fiore del cavolo che nessuno mette nei vasi, con
quell'anomalia, con quella tristezza fiorita, la tua tristezza di
cavolfiore, di pianta triste e malinconica".

Hector Abad Faciolince - Trattato di culinaria per donne tristi, Sellerio 1997

La poesia della domenica

La chiave gira nella toppa
simile a un apriscatole
e scoperchia la latta.
è l'amica che apre
e mi sorprende a letto
con un'altra donna.
guarda e sì ritrae
come in presenza
d'un cibo avariato.
piange e richiude
la porta metallica.
mi ripeto...
il mio cuore è sempre stato
come la porta girevole
d'un albergo a ore
dove si poteva entrare
e pernottare a piacere
ri_uscire in incognito
e senza rimpianti
ora vorresti istallare
una porta nel vuoto
e mettere una serratura di marca
all'aria ?

VALENTINO ZEICHEN

mercoledì 2 settembre 2009

Anima, cozze e tango

Periodo confuso e faticoso: di ritorno da vacanze abbastanza deludenti, sto affrontando con grande fatica la ripresa del lavoro e dei ritmi cittadini, insofferente del caldo afoso e disgustata dalle piccole bassezze quotidiane cui mi tocca assistere impotente.

Constatare che non sono l'unica a soffrire di questa situazione non mi consola affatto, anzi aumenta il mio malessere.

Ieri un collega ha avuto una crisi cardiocircolatoria da stress, è stato portato via in ambulanza.
Oggi è toccato a un'altra collega....
Domani.... che succederà?

Mi arrovello inutilmente sul senso di tutto questo, mi perdo in un tunnel senza uscita...

E poi, in tutto questo buio che mi avvolge, per fortuna trovo la riflessione di Francesca Pacini su Anima e cozze, che ridà un po' di senso all'affanno quotidiano, mi invita a ritrovare l'quilibrio tra la freddezza della mente e l'irrazionalità delle reazioni emotive.