Ieri "La Repubblica" dedicava tre pagine al fenomeno delle gonne d'oro, ovvero le donne manager che in Norvegia, grazie a una legge del 2005 sulle pari opportunità (incredibile ma vero: firmata da un uomo!), sono state imposte nei board delle società quotate in borsa e hanno preso potere e comando nelle principali aziende.
Con effetti benefici per l'economia: "Le aziende guidate dalle donne hanno accresciuto più velocemente i ricavi, generato più margini lordi, chiuso più frequentemente l'esercizio in utile", afferma l'economista del Cerved Guido Romano.
E in Italia?
"Non è detto che la via norvegese alla rottura del monopolio maschile sia esportabile facilmente. Ma il problema che pone lo è certamente, specie in un paese come l´Italia in cui la quota maschile è altissima in tutte le posizioni importanti in tutti i settori. Una ricerca Istat-Ministero delle Pari opportunità del 2004 segnalava che nelle 50 imprese più grandi del Paese solo l´1,3% dei consiglieri di amministrazione è rappresentato da donne. Bassissima anche la presenza negli organi decisionali delle organizzazioni imprenditoriali, anche se ora sia la Confindustria che i giovani imprenditori hanno a capo una donna. Tra i sindacati la situazione è migliore (23,6%). In Banca d´Italia solo con l´arrivo di Draghi qualche donna ha avuto una chance. Le magistrate sono ormai il 52% di tutti i magistrati. Ma, considerando i magistrati di Cassazione con funzioni superiori, la presenza femminile, pur in aumento, si colloca al 7,4%. Nessuna donna ha ancora raggiunto i livelli apicali di presidente della Corte di Cassazione o di Procuratore generale. Nella Corte dei Conti, nessuna donna ricopre il ruolo di Presidente di sezione. Non si tratta solo di ritardo fisiologico, dato che la femminilizzazione della magistratura è in atto ormai da diverso tempo. C´è una sola donna alla Corte Costituzionale. Nei ministeri le donne sono il 48% dei dipendenti, ma il 16,6% dei dirigenti. Tra i medici dirigenti di una struttura complessa la quota di donne è pari al 10%. Nell´Università, la percentuale di donne tra i professori ordinari è attorno al 16% e gli uomini superano le donne anche in settori, quelli letterari, ove le laureate sono la stragrande maggioranza. Nella scuola, le donne, pur essendo il 68% dei docenti laureati e il 90,9% di quelli diplomati, sono il 39,2% dei dirigenti. Se non sbaglio, vi è una sola donna direttore di quotidiano. E non parliamo della presenza nei luoghi decisionali della politica. Difficile spiegare questi dati con l´incompetenza femminile, o con la necessità di attendere che le leve di donne entrate in massa nella formazione e nelle professioni negli ultimi trent´anni percorrano tutta la filiera. Perché vengono fermate prima, non solo dalla necessità di fare fronte a un carico di lavoro familiare di cui continuano a detenere il non invidiabile monopolio, ma da chi ha il potere di riconoscere e promuovere."
Chiara Saraceno, Gonne d'oro - La fortuna dell'industria è femmina
Con effetti benefici per l'economia: "Le aziende guidate dalle donne hanno accresciuto più velocemente i ricavi, generato più margini lordi, chiuso più frequentemente l'esercizio in utile", afferma l'economista del Cerved Guido Romano.
E in Italia?
"Non è detto che la via norvegese alla rottura del monopolio maschile sia esportabile facilmente. Ma il problema che pone lo è certamente, specie in un paese come l´Italia in cui la quota maschile è altissima in tutte le posizioni importanti in tutti i settori. Una ricerca Istat-Ministero delle Pari opportunità del 2004 segnalava che nelle 50 imprese più grandi del Paese solo l´1,3% dei consiglieri di amministrazione è rappresentato da donne. Bassissima anche la presenza negli organi decisionali delle organizzazioni imprenditoriali, anche se ora sia la Confindustria che i giovani imprenditori hanno a capo una donna. Tra i sindacati la situazione è migliore (23,6%). In Banca d´Italia solo con l´arrivo di Draghi qualche donna ha avuto una chance. Le magistrate sono ormai il 52% di tutti i magistrati. Ma, considerando i magistrati di Cassazione con funzioni superiori, la presenza femminile, pur in aumento, si colloca al 7,4%. Nessuna donna ha ancora raggiunto i livelli apicali di presidente della Corte di Cassazione o di Procuratore generale. Nella Corte dei Conti, nessuna donna ricopre il ruolo di Presidente di sezione. Non si tratta solo di ritardo fisiologico, dato che la femminilizzazione della magistratura è in atto ormai da diverso tempo. C´è una sola donna alla Corte Costituzionale. Nei ministeri le donne sono il 48% dei dipendenti, ma il 16,6% dei dirigenti. Tra i medici dirigenti di una struttura complessa la quota di donne è pari al 10%. Nell´Università, la percentuale di donne tra i professori ordinari è attorno al 16% e gli uomini superano le donne anche in settori, quelli letterari, ove le laureate sono la stragrande maggioranza. Nella scuola, le donne, pur essendo il 68% dei docenti laureati e il 90,9% di quelli diplomati, sono il 39,2% dei dirigenti. Se non sbaglio, vi è una sola donna direttore di quotidiano. E non parliamo della presenza nei luoghi decisionali della politica. Difficile spiegare questi dati con l´incompetenza femminile, o con la necessità di attendere che le leve di donne entrate in massa nella formazione e nelle professioni negli ultimi trent´anni percorrano tutta la filiera. Perché vengono fermate prima, non solo dalla necessità di fare fronte a un carico di lavoro familiare di cui continuano a detenere il non invidiabile monopolio, ma da chi ha il potere di riconoscere e promuovere."
Chiara Saraceno, Gonne d'oro - La fortuna dell'industria è femmina
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