Sono settimane che medito di scrivere un bel post su
Chiara Ingrao e la presentazione di
Dita di dama cui ho avuto la fortuna di assistere un paio di mesi fa, ma fino ad ora ho sempre desistito, un po' per il rifiuto innato che ho a scrivere post di recensione di libri, un po' perché mi sento inadeguata a esprimere efficacemente tutti i molteplici sentimenti e le stimolanti riflessioni che la lettura del libro e ancor più l'ascolto della sua autrice ha suscitato in me.
Ci voleva la rabbia provocata dall'
uscita di Mariastella Gelmini sul congedo di maternità per sbloccare ogni mia esitazione: dopo le affermazioni della "ministra" sento il bisogno di contrapporre qualcosa di segno opposto, pazienza se il mio post risulterà confuso, ingarbugliato, approssimativo: il fine giustifica i mezzi.
Il romanzo racconta la storia della diciottenne Maria, che, negli anni settanta, finita la scuola, va a lavorare in fabbrica come operaia, dove, sullo sfondo dei cambiamenti sociali di quegli anni, insieme alle sue amiche, lavora, lotta, cresce, si innamora.
La storia è bella, coinvolgente, appassionante, ed è narrata in prima persona da Francesca, l'amica del cuore di Maria che, a differenza di lei, va all'università a studiare legge.
Dietro alla storia di Maria c'è la Storia di quegli anni con i suoi grandi temi: il lavoro, le lotte operaie, il sindacato, le conquiste sociali, l'emancipazione delle donne, il terrorismo, la politica.....
Chiara Ingrao nell'incontro ha raccontato le sue esperienze, anche difficili e conflittuali, di quegli anni, ricchi di fermenti e tensioni sociali, in cui però la politica non era separata dalla vita quotidiana della gente, quando la classe dirigente politica era attenta e "viveva" in prima persona la realtà di tutti e il risultato erano leggi e riforme che hanno segnato il progresso sociale e democratico del Paese.
Personalmente, tra tutti gli argomenti che sono stati trattati, due sono quelli che più mi hanno colpito: l'affermazione della dignità del lavoro, più volte citata anche nel romanzo (e oggi spesso dimenticata) e l'esortazione di Chiara a tenere unite la poesia e la vita, l'astrattezza del pensiero alla concretezza della vita.