sabato 11 settembre 2010

La poesia che riempie la solitudine

Casualmente  (ma esiste il caso?) mi imbatto in una serie di poesie che sembrano parte di un dialogo: ecco allora che Rodolfo Vettorello risponde con la sua inquietudine "marziana" a quella di Gioconda Belli, che si sente venusiana e lo proclama. Marte versus Venere, bello versus brutto, uomo versus donna: entrambi soli e desolati,  nel  fondo della loro essenza meno distanti di quello che apparentemente può sembrare, gli opposti si toccano (ma quanta fatica in mezzo!)



Rodolfo Vettorello

INQUIETUDINE COME SOLITUDINE

Inquietudine quasi un galleggiare
senza sapere come
in uno stagno verde, senza nome.
Restare a galla, senza respirare,
muoversi adagio e mettersi supino
a pelo d'acqua e con in viso il sole.
E non vedere nulla oltre le nubi,
nient'altro che altro cielo
e un infinito vuoto che si perde.
Il Dio che cerco
non lo ritrovo dove ho immaginato
e te che ho amato e te...
tu non mi guardi
di tra le nubi ed io non so vederti
perché non sei come non c'é chi muore.
Di te soltanto
un pizzico di polvere rappresa
disciolta in un istante
al centro d'un rigagnolo di fango.
Essere soli come solitudine,
un suono di parola per socchiudere
la porta all'inquietudine.
Non mi rimane più che questo stare
qui dove resto fermo ad aspettare
il sole che si affaccia all'orizzonte
o che precipita nel fondo
di questo stagno verde
in cui mi perdo.
Io resto a galla senza respirare,
non so nemmeno come

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