lunedì 14 giugno 2010

I nuovi schiavi?

Giornata di riflessioni amare sull'accordo di Pomigliano

In realtà le mie riflessioni partono da lontano, nascono da più di un anno di esperienza diretta, in un'azienda che non è una fabbrica, ma una opulenta multinazionale di servizi finanziari, e che tuttavia si è affrettata a cavalcare la crisi e la globalizzazione per "spremere" le persone e togliere loro ogni dignità, nel tentativo sempre meno velato di trasformare tutti in macchine produttive senza anima, pensieri, sentimenti. E lo ha fatto anche in modo meschino, abbassando piano piano, ma inesorabilmente, la soglia della dignità umana, anche e soprattutto nelle piccole cose: via la pausa caffé, luci a tempo al bagno, censure a chi si ferma a salutare un collega più del dovuto, controlli maniacali sui tempi e le quantità dei "pezzi" lavorati, smembramenti di settori "troppo affiatati" con rimescolamento ad hoc delle persone affinché diminuiscano le possibilità di interazione  e rapporti umani. Le conseguenze: nessun aumento di produttività, in compenso quasi completo controllo delle persone, clima di paura e terrore, aumento delle problematiche psicologiche. Il tutto nel rispetto "formale" dei contratti di lavoro, svuotati nella sostanza da comportamenti indotti, tanto che spesso gli stessi lavoratori non reclamano più i propri diritti, perché li considerano "privilegi" sottoposti al capriccio aziendale.

Con questa esperienza, l'accordo di Pomigliano mi fa rabbrividire: si è usato il ricatto per togliere ai lavoratori le ultime armi di difesa, in un periodo e in un settore particolarmente difficili.
 
"È nella globalizzazione ormai senza veli che va inquadrato il caso Fiat. Se in Polonia, o in qualunque altro paese in sviluppo, un operaio produce tot vetture l´anno, per forza debbono produrne altrettante Pomigliano, o Mirafiori, o Melfi. È esattamente lo stesso ragionamento che in modo del tutto esplicito fanno ormai Renault e Volkswagen, Toyota e General Motors. Se in altri paesi i lavoratori accettano condizioni di lavoro durissime perché è sempre meglio che essere disoccupati, dicono in coro i costruttori, non si vede perché ciò non debba avvenire anche nel proprio paese. Non ci sono alternative. Per il momento purtroppo è vero. Tuttavia la mancanza di alternative non è caduta dal cielo. È stata costruita dalla politica, dalle leggi, dalle grandi società, dal sistema finanziario, in parte con strumenti scientifici, in parte per ottusità o avidità. Toccherebbe alla politica e alle leggi provare a ridisegnare un mondo in cui delle alternative esistono, per le persone non meno per le imprese."

2 commenti:

giorgio ha detto...

Il sistema capitalistico purtroppo è fatto così e sembra che le sue contraddizioni ora emergano in modo più netto che in passato. Quello che manca è una proposta alternativa valida e praticabile, per la quale le persone sentano che vale la pena lottare e canalizzare le energie.
Siamo tutti sgonfi e i padroni ci prendono a calci come vogliono e quando vogliono. Non c'è solidarietà, non c'è una prospettiva concreta per cui lottare, non ci sono ideali se non utopici e fantastici: siamo tutti in difesa e nessuno va all'attacco.
Concretamente c'è solo la m.... quotidiana nella quale viviamo, mentre guardiamo le tv e facciamo shopping.

lucida follia ha detto...

@giorgio: e aggiungerei: mentre ci impasticchiamo (beviamo, droghiamo...) per non annegare nella disperazione.