lunedì 30 agosto 2010

La poesia di una serata cinematografica

William Ernest Henley

Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l’indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.


 


-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.


"Ci sono due modi di vivere. Uno: dominati dalla paura; l’altro: orientati verso l’amore" Osho


Osho: "Ho gettato via la tua paura"
 "Un vecchio saggio stava attraversando la giungla in compagnia di un suo giovane monaco. Scese la notte e cominciarono a calare le tenebre. Il vecchio saggio chiese al giovane monaco: 'Figlio mio, credi che lungo questo sentiero ci siano pericoli? Questo sentiero attraversa una fitta foresta e stanno calando le tenebre. Abbiamo qualcosa da temere?'.
Il giovane monaco era molto sorpreso, poiché in un sannyasin non dovrebbe mai sorgere il problema di avere paura, sia che si trovi in una notte buia oppure illuminata, sia che si trovi in una foresta oppure sulla piazza del mercato, quindi quella domanda era davvero sorprendente. Inoltre, questo vecchio non aveva mai avuto paura. Che cosa gli stava accadendo? Perché adesso mostrava di aver paura? C'era qualcosa che non andava!
Camminarono ancora un po' e la notte diventò più buia. Il vecchio chiese di nuovo: 'C'è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci? Raggiungeremo presto la città più vicina? Quanto è ancora distante?'. Poi si fermarono vicino a un pozzo per lavarsi le mani e il viso. Il vecchio consegnò al giovane monaco la borsa, che portava in spalla, dicendogli: 'Abbi cura della mia borsa'.
Il giovane pensò: 'Certamente deve contenere qualcosa, altrimenti non sarebbe sorto in lui il problema della paura e non avrebbe raccomandato di prendermi cura della borsa'.
Per un sannyasin era insolito anche il fatto di prendersi cura di qualcosa; in questo caso, non avrebbe senso diventare sannyasin, infatti chi ha delle cose da custodire ha una proprietà. Che bisogno ha un sannyasin di prendersi cura di qualcosa?
Il vecchio cominciò a lavarsi il viso e il giovane diede uno sguardo nella borsa: vide che conteneva un lingotto d'oro, e comprese la causa della paura. Lo gettò via, e mise nella borsa una pietra di uguale peso. Il vecchio, subito dopo, tornò in fretta dal giovane e si riprese la borsa; la tastò, ne verificò il peso sollevandola, se la mise sulla spalla e si rimise in cammino.
Dopo un breve tratto, tornò a chiedere: 'Sta diventando proprio buio, abbiamo perso la strada? C'è qualche pericolo?'.
Il giovane gli rispose: 'Non avere paura. Ho gettato via la tua paura'.
Il vecchio saggio era sconvolto. Guardò immediatamente nella borsa e vide che al posto dell'oro c'era una pietra. Per un attimo rimase attonito e poi, scoppiando in una risata, esclamò: 'Che idiota sono stato! Portavo in spalla una pietra e avevo paura perché credevo fosse un lingotto d'oro'. A quel punto, lo gettò via e disse al giovane monaco: 'Dormiremo qui questa notte, visto che al buio è difficile trovare la strada'. E quella notte dormirono pacificamente nella foresta" (da Ricominciare da sé, pp. 142-144).

domenica 8 agosto 2010

La poesia per dire "basta!" alla violenza sulle donne

Da mesi provo rabbia e paura per il progressivo aumentare di atti di violenza sulle donne e per il modo in cui talvolta vengono raccontati, che spesso è solo un'altra forma di violenza.
Mi sono spesso chiesta se io potevo concretamente fare qualcosa per tentare di combattere contro questo fenomeno, o se dovevo rassegnarmi a stare a guardare e a farmi sopraffare dal senso di impotenza.

Poi ho letto un post di Femminismo a Sud che invitava tutti i blogger a fare la loro parte per combattere questo "massacro" quotidiano e istintivamente ho deciso di aderire, anche se un po' spaventata dall'argomento e dalla mia inadeguatezza e  dubbiosa di trovare un modo "giusto" per affrontarlo. 

Ho riflettuto un po' sul post e sugli stimoli di riflessione che fornisce, in particolare sulle frasi di chiusura:

"...è necessario che tutti e tutte noi ci sentiamo chiamati in causa e attraversiamo il web in corteo producendo quello che siamo in grado di produrre. Cultura, opinioni, idee, esperienze, realtà. 
Diamoci una mano. Facciamo qualcosa, ciascuno con le proprie differenze, a partire da ciascuno/a di noi"
E ho deciso che avrei affrontato l'argomento con i modi propri a me e al mio blog: una "poesia della domenica "per l'occasione, un video (un bellissimo cortometraggio), un link a un blog di donne, un'altra poesia

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.--.

Sergio GARBELLINI


Mi ritorna nei pensieri
quella scena maledetta,
avvenuta l'altro ieri
su quell'arida scarpata,
proprio accanto all'autostrada,
dove tu m'hai violentata!!!
Con quell'atto di violenza
ti sentisti un uomo forte,
ma negasti a una ragazza
la speranza nel futuro.
Da quel giorno, te lo giuro,
meledico la tua sorte,
giorno e notte, stai sicuro,
pregherò per la tua morte!!!
Mille macchine veloci
ingoiavano l'asfalto,
mentre il sole era già alto.
Una donna si agitava,
e gridava e si sgolava ...
... ma nessuno l'ascoltava!!!
Io non credo alla giustizia
perché tante, troppe donne
sono state violentate
e nessuno le ha aiutate!
Il processo in questi casi,
stabilisce una sentenza,
ma, rimane la violenza
che ti uccide l'esistenza!!!
Vanno sempre denunciati
questi luridi animali,
perché son dei depravati
senza nulla d'interiore,
senza affetto, senza onore,
senza un'anima, né un cuore!!!


 

Il cortometraggio e altri preziosi spunti di riflessione mi sono stati forniti dal blog La forza delle donne
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.--.

Per concludere un messaggio di forza e speranza,  per rifiutare di lasciarsi abbattere (fisicamente e moralmente): la Preghiera di Clarissa Pinkola Estes, l'autrice di Donne che corrono con i lupi

Rifiutati di cadere.
Se non puoi rifiutarti di cadere,
rifiutati di restare a terra.
Se non puoi rifiutarti di restare a terra,
leva il tuo cuore verso il cielo,
e come un accattone affamato,
chiedi che venga riempito,
e sarà riempito.
Puoi essere spinto giù.
Ti può essere impedito di risollevarti.
Ma nessuno può impedirti
di levare il tuo cuore
verso il cielo-
soltanto tu.
E' nel pieno della sofferenza
che tanto si fa chiaro.
Colui che dice che nulla di buono da ciò venne,
ancora non ascolta.
 

A Prayer

Refuse to fall down.
If you cannot refuse to fall down,
refuse to stay down.
If you cannot refuse to stay down,
lift your heart toward heaven,
and like a hungry beggar,
ask that it be filled,
and it will be filled.
You may be pushed down.
You may be kept from rising.
But no one can keep you
from lifting your heart
toward heaven---
only you.
It is in the middle of misery
that so much becomes clear.
The one who says nothing good
came of this,
is not yet listening.
 


domenica 1 agosto 2010

La poesia di una domenica di bilanci

 

Kriton Athanasulis


Testamento

 

 

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.

Ti lascio il sole che lasciò mio padre a me.

Le stelle brilleranno uguali ed uguali ti indurranno

le notti a dolce sonno.

Il mare t’empirà di sogni. Ti lascio

il mio sorriso amareggiato: fanne scialo

ma non tradirmi. Il mondo è povero

oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo

ed è rimasto povero. Diventa ricco

tu guadagnando l’amore del mondo.

Ti lascio la mia lotta incompiuta

e l’arma con la canna arroventata.

Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.

Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena

vinta nelle battaglie del tempo.

E ricorda. Quest’ordine ti lascio.

Ricordare vuol dire non morire.

Non dire mai che sono stato indegno, che

disperazione mi ha portato avanti e son rimasto

indietro, al di qua della trincea.

Ho gridato, gridato mille e mille volte no,

ma soffiava un gran vento e piogge e grandine

hanno sepolto la mia voce. Ti lascio

la mia storia vergata con la mano

d’una qualche speranza. A te finirla.

Ti lascio i simulacri degli eroi

con le mani mozzate,

ragazzi che non fecero a tempo

ad assumere austere forme d’uomo,

madri vestite di bruno, fanciulle violentate.

Ti lascio la memoria di Belsen e Auschwitz.

Fa presto a farti grande. Nutri bene

il tuo gracile cuore con la carne

della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.

Impara che milioni di fratelli innocenti

svanirono d’un tratto nelle nevi gelate

in una tomba comune e spregiata.

Si chiamano nemici; già. I nemici dell’odio.

Ti lascio l’indirizzo della tomba

perché tu vada a leggere l’epigrafe.

Ti lascio accampamenti

d’una città con tanti prigionieri,

dicono sempre si, ma dentro loro mugghia

l’imprigionato no dell’uomo libero.

Anch’io sono di quelli che dicono di fuori

Il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.

Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio

dolce al nostro crepuscolo amaro,

il pane è fatto di pietra, l’acqua di fango,

la verità un uccello che non canta.

E’ questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio

d’essere fiero. Sforzati di vivere.

Salta il fosso da solo e fatti libero.

Attendo nuove. E’ questo che ti lascio.